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MONDO sabato 27 marzo 2021
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SCRITTO DEL PARROCO "L'effetto di un bisturi": un contributo di don Gaetano Zaralli
a cura della
Redazione
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Quando si ha voglia di piangere e le lacrime si rifiutano di bagnare il dolore che è forte nell’anima più che nel corpo, diventa aspro l’attimo che è in bilico tra il desiderio che ti invita a liberarti dall’angoscia e l’impossibilità di venir fuori dal buco nero che ti risucchia. Non è forza d’animo il trattenere il pianto, ma solo indurimento sordo che copre come pietra l’angolo buio che ti vuole morente. Chi ti circonda ti sorride con la speranza di distrarre la mente inchiodata sul patibolo dell’inesistente, chi ti vuole bene ti coccola con le parole e con i silenzi fino a costringere le labbra riarse dalla sete a dischiudersi appena per un segno di condivisione, chi non vuol perderti spera con te nel domani più tranquillo, anche quando sul letto il respiro si fa corto e la notte che oscura la mente, si prospetta lunga e distante dalle aspettative più rosee. Conoscevo il dolore raccontato da altri, ma non il mio che ora trovo difficile narrare a me stesso. Dopo un intervento chirurgico, cadono gli equilibri che la natura pazientemente aveva messo insieme nel corso degli anni, e nel corpo, aggredito dalla saggezza del medico, nasce lo scompiglio: alla morte parziale voluta dall’anestesista, perché il bisturi affondi senza far male, segue il risveglio… ma il mondo che ora ti circonda non è più lo stesso. Il cuore riprende il suo battito normale, certificato dalle onde che scorrono monotone sul monitor; la pressione è sotto controllo e i polmoni, anche se schiacciati dal decubito, riprendono a pompare… Tutto sembra essere tornato normale…. Ma il mondo che ora ti circonda non è più lo stesso. Penso che non si entri mai in ospedale per una cura importante, o per un serio intervento, senza uscirne portandosi dietro un cumulo di esperienze e una valanga di sensazioni, tali da condizionare il resto della vita. Non lo avrei mai immaginato…. Gli affetti che prima vivacchiavano sotto l’ombra protettrice delle cose scontate, son passati attraverso il filtro sincero della condivisione e ora appaiono più lucenti, più semplici, più veri… recettori di una gratitudine che non offende. Gli interessi che in mille maniere costituivano il tessuto della giornata, sono svaniti, senza lasciare strascichi di rimpianti, e nel frattempo sono subentrati i richiami alle cose essenziali che per troppo tempo hanno sofferto della stupidità dell’effimero. Non lo avrei mai immaginato… Il tempo ha accorciato la durata delle ore e le ore sono diventate insufficienti a ricoprire l’arco di una giornata che al presente, nell’ebbrezza di una nuova speranza, si vorrebbe eterna. Neanche vale la pena stare lì a torturarsi l’anima per le occasioni perdute in passato o volutamente lasciate inghiottire dalla pigrizia. Piangere sul tempo che non c’è più è come girare a vuoto attorno ad un castello zeppo di rimpianti con l’illusione di racimolare qualche senso di colpa che assecondi la sempre comoda voglia di vittimismo. Non ho pregato né prima né dopo l’intervento operatorio, se per preghiera si intende il solito ricorrere ai santi e alle madonne per avere la protezione che loro a tutti, sembra, vogliono assicurare. Non ho pregato, né ho chiesto preghiere, ma ho provato piacere nel sentirmi dire da persone semplici che lo hanno fatto per me. Questa loro fede, sostenuta da continue incursioni presso gli altari dei santi che contano, continua a commuovermi e mai la irriderò, anche se in pratica continuo ad astenermi da qualsiasi intervento che in qualche modo possa favorirla. Oggi sono più sereno di ieri per quanto riguarda il mio modo di vivere la fede. Se dinanzi al rischio di non farcela, ho mantenuto lineare il rapporto che penso di avere con Dio, con la Provvidenza, con la Speranza, senza per questo perdere il senso della realtà che va accettata comunque, e qui è il difficile, anche quando si presenta matrigna, è segno che le mie prediche non erano parole, ma frutto di una convinzione cui mancava solo la verifica dell’esperienza personale. L’esperienza ora c’è stata e spero, per via di una umana esigenza, di non doverne vivere altre. Un sacerdote si è intrufolato nelle stanze della terapia intensiva e quando, appena uscito dall’incoscienza dell’anestesia, l’ho visto nei pressi del mio letto, ci sono rimasto male, come se avesse voluto lui far violenza alla mia volontà, pur di raccogliere una eventuale confessione; come se, approfittando della situazione critica della mia salute, avesse voluto lui frapporsi con prepotenza tra la mia fragilità e la carezza di Dio. Chiedo scusa al confratello per non aver risposto positivamente al suo desiderio… ma nel contempo esprimo a lui il mio dissenso per come, in una eccessiva dimostrazione di zelo, abbia ignorato le regole più elementari che un qualsiasi “intermediario” è tenuto a rispettare… Credo nella misericordia di Dio, in quella che salva indipendentemente dai sacramenti; credo nell’amore di Gesù Cristo e mi lascio cadere tra le sue braccia nella certezza di essere accolto. La paura del giudizio di Dio per chi ha fede è simile ad un’assurda gelosia che causa travaglio in coloro che dicono di amarsi. Questa mattina c’era il sole e l’aria era tiepida. Ho abbandonato la casacca del malato e le ciabatte del convalescente, per tornare, anche se traballante, sulla strada a incontrare la gente. Quanta fatica riattivare i muscoli e quanto coraggio nel mettere alla prova di nuovo il fiato! Ho incontrato Silvano, ragazzo che conosco dal suo battesimo. Io so tutto della malattia che lo assilla, lui sa tutto di me. Ci siamo guardati negli occhi e dopo i convenevoli, senza attardarci nelle chiacchiere inutili, io a lui: “Penso di avercela fatta…”. E lui a me: “Bisogna farcela!…”. |
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